Hikikomori o il ritiro sociale
Hikikomori o il ritiro sociale
In Giappone i ragazzi che si chiudono nella propria stanza si chiamano Hikikomori che letteralmente significa “stare in disparte, ritirarsi”, di qui la traduzione italiana di “ritirati sociali”. Di solito sono maschi adolescenti (ma il fenomeno sta coinvolgendo ultimamente anche le ragazze) e il disagio si manifesta solitamente negli anni di passaggio dalle medie alle superiori, ma anche dalle superiori all’università. Sono momenti di snodo importanti, densi di aspettative e spesso vissuti dai ragazzi con un senso di paura e di inadeguatezza.
Lancini e altri studiosi del ritiro sociale hanno visto questa scelta come una dolorosa forma di protesta generazionale.
Il ritiro avviene a seguito di un evento vissuto come traumatico dal ragazzo: un episodio di bullismo o una frase detta da un coetaneo che rimanda un’immagine di se negativa e non all’altezza delle aspettative che il giovane si era creato nell’infanzia sulla base dello sguardo dei familiari. Quello che scatta nella mente è un profondo senso di inadeguatezza. Se nel passato il disagio giovanile era legato ai sensi di colpa creati dall’opposizione all’autorità dei genitori, oggi gli adolescenti sono messi in crisi dal senso di inadeguatezza, dalla vergogna e dal timore di non essere all’altezza dell’immagine che hanno i genitori di loro.
Scrive Lancini “siamo genitori che vogliono per i propri figli continue relazioni sociali, che se li vediamo a quattro anni arrampicarsi sul divano il giorno seguente li iscriviamo ai corsi di arrampicata, li vogliamo sempre impegnati e guardiamo ammirati come usano i dispositivi tecnologici …” li cresciamo in un clima di ammirazione e di grandi aspettative per il loro futuro ma il mondo fuori che li aspetta, spesso, si rivela essere troppo duro, con richieste che vengono vissute come eccessivamente pesanti.
Il ritiro sociale rappresenta una via di fuga, la risposta al senso profondo di vergogna per non sentirsi all’altezza dell’idea grandiosa di se che il ragazzo si era creato nel corso dell’infanzia. Lo scontro con lo sguardo giudicante dei pari che rivela come le attese erano esagerate provoca vergogna; nell’attuale società dei “like” e dei “follower” è vitale essere una “persona popolare” e se non riesci la vergogna ti attanaglia la mente.
Internet funziona come un anestetico rispetto al dolore e alla sofferenza mentale che questi ragazzi vivono.
Non è facile entrare in contatto con i ragazzi ritirati e iniziare un percorso di elaborazione finalizzata all’uscita da questa condizione dolorosa, una via è di utilizzare i giochi e le scelte virtuali compiute dal ragazzo trattandole come aree attraverso le quali il giovane parla di sé, è necessario inoltre allargare lo spazio della terapia non solo alla famiglia ma anche agli amici virtuali, che possono rappresentare una grande risorsa. Non si tratta quindi di togliere internet ma di utilizzarlo creativamente.